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Jacopone da Todi, Celestino V e Bonifacio VIII

< Io Celestino V, mosso da ragioni legittime, per bisogno di umiltà, di perfezionamento morale e per obbligo di coscienza, per debolezza del corpo, per difetto di dottrina e per cattiveria del mondo, per l’infermità della persona, al fine di recuperare la pace e le consolazioni del mio precedente modo di vivere, liberamente e spontaneamente, mi dimetto dal Pontificato…>.

Questo episodio è entrato nella storia anche grazie alla Divina Commedia nella quale Dante narra di < colui che fece per viltà il gran rifiuto > (Inf III, 58-60). Il personaggio, volutamente ignoto, venne identificato in Celestino V. Così Celestino fu messo nella cerchia degli ignavi, peccatori rifiutati persino nei gironi infernali, poiché messi nell’ “Antinferno”.

I motivi di questa scelta nessuno potrà saperli: forse la permanenza per lungo tempo a Napoli nelle mani di Carlo II, forse per la mancanza di autonomia e l’inadeguatezza al ruolo, forse non resistendo più agli intrighi della Curia romana ( ancora oggi si suole parlare di una trama ordita dal futuro Bonifacio VIII, che prima lo spinse alle “dimissioni”, per poi incarcerarlo e forse eliminarlo).

Così il papa eremita passerà alla storia come il capofila dei codardi, ma oggi la sua figura è da molti riabilitata. Quando il 13 dicembre, giunto al Concistoro, si tolse la cappa rossa, gli ornamenti papali solenni e si rivestì con il saio da eremita, era ormai vecchio, stanco, consumato dagli acciacchi e da una vita fatta di stenti e di privazioni indicibili. Trovò però la forza e il coraggio di opporsi a quella visione politica della Chiesa, che era molto lontana dalla sua, quella di Chiesa come sposa di Cristo.

Né le minacce, né le lusinghe dei “poteri forti” del suo tempo, riuscirono a tenerlo inchiodato ad un ruolo che non sentiva, non aveva mai voluto e che in quei termini non serviva a rendere gloria a Dio. Egli, incurante poi delle minacce del popolino napoletano, probabilmente incitato dal re e forse anche da alcuni religiosi, impose agli impietriti cardinali la sua rinuncia, un fatto unico e gravissimo per l’epoca in cui viveva.

Alcuni studiosi poi fanno notare che proprio per la sua “rinunzia” si può supporre che non sia Celestino colui che < fece per viltade il gran rifiuto >. Dante, che sceglieva nel modo più preciso possibile il lessico, scrive di un ” rifiuto” mentre quella del papa fu appunto una “rinunzia”.

Inoltre Dante era profondamente religioso e si può supporre che difficilmente avrebbe posto all’inferno un santo (se la Divina Commedia viene pubblicata nel 1319, sono passati 6 anni dalla proclamazione di santità di Celestino)

Il motivo vero della rinuncia è molto probabilmente riconducibile alla sua limpida condotta morale, un atto di umiltà e fede ben diversa dalla codardia.

Questo punto di vista è confermato anche dal fatto che la fama di Celestino non morì con lui e nel maggio del 1313, fra’ Pietro fu fatto Santo col nome di San Pietro del Morrone.

La vita: Lucifero novello a ssedere en papato / lengua de blasfemìa, ch’el mondo ài ‘nvenenato

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